22.08.2016

Allocuzione di apertura del Consigliere federale Didier Burkhalter in occasione della conferenza degli ambasciatori e della rete esterna 2016 - Fa stato la versione orale

Oratore: Didier Burkhalter; Burkhalter Didier

Signor Ministro,
Signor Direttore generale,
Gentili Signore, egregi Signori,

«il futuro è nelle nostre mani» scriveva un saggista svizzero. Io aggiungo: il futuro è tutto da costruire. Il futuro non coincide con quello che ci accadrà, ma è, fondamentalmente, quello che vogliamo farne. Scopo della politica è dar forma a questo futuro, preparare il miglior futuro possibile, offrire prospettive ai nostri figli e ai figli dei nostri figli.

È perché credete in questo scopo che, Signore e Signori, avete scelto il mestiere che vi riunisce qui oggi.

Ed è proprio perché tu credi nell’azione e nella volontà politiche, in questa necessità di dare risposte concrete alle sfide, che ho voluto invitarti, caro Paolo Gentiloni, Ministro italiano degli affari esteri. Ti ringrazio sinceramente, anche a nome di tutti i presenti, per l’onore e l’amicizia che ci hai dimostrato accettando di essere qui oggi. Siamo lieti di poter ascoltare che cosa significa per te costruire il futuro in riferimento alle relazioni tra i nostri due Paesi, vicini e amici, e in una prospettiva europea e multilaterale.

Gentili Signore, egregi Signori,

preparare il futuro migliore per la Svizzera significa garantire la posizione del nostro Paese nel mondo e se possibile migliorarla ancora. La Svizzera se la cava bene, molte classifiche lo mettono in evidenza.

E anche nel medagliere dei Giochi olimpici estivi non ci piazziamo male: complimenti ai nostri sportivi! Ma è soprattutto se si guarda a indicatori come la qualità della vita, il lavoro – in particolare per i giovani – la formazione, la competitività, la ricerca... che si vede quali sono i nostri punti forti. Questa situazione la dobbiamo a chi è venuto prima di noi e ha preparato bene il futuro dei propri figli e nipoti, cioè il nostro. Chi ci ha preceduto aveva capito che il futuro andava costruito. È nostra responsabilità ora preservare questo modello di successo e renderlo duraturo.

Dobbiamo rimboccarci le maniche di fronte a questo futuro da costruire: nella politica interna, ma anche nella politica estera.

La politica estera è il Consiglio federale a definirla e a condurla. Ma può attuarla solo grazie a voi, che siete riuniti qui oggi, a Ginevra, e grazie alle vostre collaboratrici e ai vostri collaboratori. Ve ne sono molto grato! Nonostante questo, non possiamo riposare sugli allori. Dobbiamo mantenerci in forma – «fit» come si dice nella Svizzera di lingua tedesca! – per poter dar forma nel miglior modo possibile al futuro. Questo vale anche per la nostra politica del personale. Anche in questo ambito dobbiamo essere pronti ad affrontare le molteplici sfide della politica estera tenendo conto delle specificità del DFAE e delle sue differenti categorie di personale. Importante qui è esaminare l’opportunità di introdurre un
sistema funzionale per le carriere diplomatiche e consolari.

Il Consiglio federale ha incaricato il DFAE di sottoporgli una prima analisi entro l’inizio del 2017, io ho a mia volta incaricato il direttore delle risorse di approfondire la questione.

Dobbiamo avviare una riflessione aperta e senza pregiudizi su questo tema e un simile atteggiamento proattivo deve permetterci di proporre soluzioni che tengano conto delle missioni e delle specificità del DFAE, come il sistema dei trasferimenti. Un sistema «funzionale» non è un obiettivo in sé: può essere un mezzo per promuovere in maniera duratura l’adeguamento delle professioni legate alla politica estera e l’interesse verso queste professioni. Le varie carriere – espressione di competenze e valori specifici – continueranno ad avere il loro posto in questo nuovo quadro. L’analisi condotta all’interno del Dipartimento, nella quale è stato coinvolto, ampiamente e in modo trasparente, il personale – è una cosa a cui tengo molto – dovrà stabilire quali potrebbero essere i vantaggi e gli inconvenienti di un simile cambiamento. Se una valutazione dei costi è senza dubbio necessaria, non si tratta in questo caso di una valutazione finalizzata al risparmio: il suo scopo è un altro. Quello che si vuole è garantire condizioni di reclutamento, di formazione e di assunzione ottimali per tutte le professioni legate alla politica estera tenendo conto di due importanti sfide a cui dovremo far fronte: 1. un mondo in cui le tensioni geopolitiche provocheranno il moltiplicarsi di contesti fragili e di conflitti e 2. una società divenuta più complessa, più esigente e più individualista in cui diventerà sempre più difficile attrarre e trattenere i migliori talenti.

Le riforme portano sempre con sé una sensazione di incertezza. Penso tuttavia che una riforma sia non solo necessaria – perché in questo come in molti altri ambiti mantenere lo status quo significherebbe in effetti fare dei passi indietro – ma anche un’opportunità da sfruttare.

Un’opportunità di migliorare l’esistente mirando a una politica estera ancora più coerente e ancora più efficace a partire da quei punti forti che sono: la competizione, le pari opportunità, la trasparenza, la responsabilità individuale. Ringrazio tutti coloro che si impegnano attivamente nel progetto. La disponibilità al dialogo è indispensabile per introdurre un sistema che permetta di costruire ancora meglio, insieme, il futuro.

1. Strategia di politica estera 2016-2019

Gentili Signore e Signori,

questo è il primo anno di una nuova legislatura. È il momento in cui si definiscono le priorità della politica estera per i prossimi anni. Il Consiglio federale lo ha fatto adottando una strategia di politica estera per il periodo 2016-2019. Una strategia per il prossimo quadriennio che si iscrive però in una prospettiva decennale, e iscrivendosi nella continuità, tiene dunque conto anche dei cambiamenti intervenuti in Svizzera e nel mondo. Conoscete bene questa nuova strategia, che non ho bisogno di presentare nel dettaglio. Ricordo semplicemente i tre punti importanti in cui si radica.

1. Innanzitutto i principi sanciti dal nostro testo fondamentale, la Costituzione, guida a lungo termine del nostro lavoro.

2. Poi la cultura politica svizzera e le sue istituzioni impregnate dei valori che vogliamo promuovere, come la democrazia, la pace, la diversità, la forza del dialogo.

3. E infine il mutevole contesto internazionale. Dobbiamo far fronte a crescenti rivalità e a crisi regionali in aumento (in Ucraina, in Siria, nel Vicino Oriente…). Ma ci troviamo ad affrontare anche una accresciuta minaccia terroristica, la situazione delle persone costrette alla fuga, che sono ormai 65 milioni (l’equivalente della popolazione italiana o di 8 volte la popolazione svizzera!), l’implicita messa in discussione del diritto internazionale al quale si contrappongono i rapporti di forza... Quello che ci troviamo davanti è un mondo che a perduto stabilità e prevedibilità.

Che cosa significa questo per la nostra politica estera? La risposta del Consiglio federale è chiara:

- «il diritto anziché la forza». La Svizzera ha tutto l’interesse a far sì che le relazioni internazionali continuino a essere disciplinate dal diritto;
- soluzioni politiche ai conflitti. La Svizzera ha tutto l’interesse a far sì che le soluzioni alle crisi si trovino attraverso la diplomazia e il dialogo, e in questo campo può svolgere il ruolo di costruttrice di ponti;
- un ordine internazionale basato su regole comuni. La Svizzera ha infine tutto l’interesse a far sì che le organizzazioni e i meccanismi internazionali e multilaterali funzionino e siano in grado di dare risposte alle crisi in un quadro concertato e legittimo. 

La strategia del Consiglio federale si organizza intorno a quattro assi prioritari:

1. l’UE e i suoi Stati membri;
2. i nostri partner globali;
3. la pace e la sicurezza;
4. lo sviluppo sostenibile e la prosperità.

Questi temi e la loro declinazione determineranno il contenuto della nostra azione, ma anche il nostro modo di organizzarci.

Le nomine di inizio legislatura avranno l’obiettivo di rafforzare ulteriormente la capacità di attuazione della strategia di politica estera.

Avete senz’altro letto che il segretario di Stato Yves Rossier mi ha chiesto, dopo aver guidato per oltre quattro anni la Direzione politica, di figurare nell’elenco dei trasferimenti. Lo ringrazio per il suo impegno, la sua creatività, il dinamismo che ha mostrato nel suo lavoro e gli auguro un grande successo nella sua futura funzione.

Il posto di segretario di Stato sarà messo a concorso alla fine del mese di agosto; resto in attesa delle candidature e ringrazio sin d’ora tutte e tutti coloro che manifesteranno la volontà di assumersi questa appassionante responsabilità – e che continueranno a dirigere il Dipartimento sulla base della politica estera del Consiglio federale e dei suoi punti forti. 

Ringrazio anche il segretario di Stato supplente Georges Martin, coordinatore di questa conferenza degli ambasciatori, per il suo impegno e per il lavoro che svolgerà anche in futuro al mio fianco in altre funzioni.

È un privilegio poter lavorare insieme a persone guidate dalla sola cosa che conta: la difesa dei valori e degli interessi del nostro Paese e dei suoi abitanti. E sono lieto di poter continuare a farlo.

Vorrei oggi accennare a due dei punti forti della nostra strategia: le relazioni con l’UE e l’impegno a favore della pace e della sicurezza, in particolare all’interno del sistema multilaterale e delle Nazioni Unite.

2. La Svizzera e l’UE

Gentili Signore e Signori,

l’Unione europea è il principale partner della Svizzera sul piano umano, culturale, scientifico ed economico. La Svizzera ha sviluppato con questo vicino un’ampia rete di accordi confluiti nella via bilaterale. Dopo il voto del 9 febbraio 2014 il Consiglio federale si è fissato l’obiettivo di gestire meglio i flussi migratori e di consolidare e sviluppare la via bilaterale. La Svizzera non è membro dell’UE e non desidera diventarlo. Ma, come l’UE, ha tutto l’interesse a intrattenere relazioni disciplinate dal diritto.

Relazioni che favoriscano le opportunità di cooperazione negli ambiti di interesse comune. Relazioni prevedibili e stabili, basate sulla certezza del diritto.

La via bilaterale è la sola opzione su cui tutte le Svizzere e gli Svizzeri possono convergere; la nostra politica estera ha bisogno di un forte radicamento nella politica interna. Ma la via bilaterale è anche una soluzione «win win», che rafforza le relazioni tra la Svizzera, 20a economia del mondo e 7a del continente, e i suoi vicini. La Svizzera offre numerosi posti di lavoro ai cittadini dell’UE, che si sono installati sul suo territorio o vivono appena al di là del confine: quasi una persona su dieci che ha fatto uso della libera circolazione in Europa si trova in Svizzera! Gli scambi commerciali Svizzera-UE ammontano a quasi di un miliardo di franchi al giorno! La Svizzera contribuisce alla costruzione della sicurezza europea attraverso lo spazio Schengen, così come lo fa con il proprio impegno all’interno dell’OSCE. Rafforza infine la ricerca europea con contributi di primo piano.

D’altro canto, la Svizzera beneficia di un accesso facilitato a certi settori del mercato interno europeo e partecipa a politiche o programmi europei, in particolare nel campo della ricerca, della formazione e della sicurezza.

Ma anche qui la situazione negli ultimi anni è cambiata, da una parte in seguito del voto del popolo svizzero all’inizio del 2014, che ha modificato alcuni presupposti, dall’altra perché l’UE a sua volta cambia e ha attraversato crisi, soprattutto finanziarie e legate alla sicurezza. L’UE ha consolidato a più riprese il proprio mercato interno e le competenze comunitarie. Ha inoltre appena vissuto un momento importante dopo un altro voto: quello dei cittadini britannici.

Questa decisione solleva numerose domande, per il Paese, per l’UE, per la Svizzera. Molte delle risposte a queste domande non potranno essere formulate nei prossimi mesi e neppure nei prossimi anni. Possiamo tuttavia già precisare l’intenzione della Svizzera nei confronti del Regno Unito e dell’UE.

Il Consiglio federale intende agire in maniera proattiva e costruttiva nelle sue relazioni con il Regno Unito. I nostri due Paesi sono partner importanti: gli scambi commerciali sono pari a 20 miliardi di franchi all’anno e circa 35 000 cittadine e cittadini svizzeri risiedono nel Regno Unito. Questi legami sono così concreti che ogni giorno sono 150 i collegamenti aerei tra i nostri due Paesi (un volo ogni 10 minuti!). Il Consiglio federale ha intenzione di mantenere relazioni forti, che sarà necessario ridefinire attraverso nuovi accordi. A tale scopo, porta avanti il dialogo con il Governo britannico.

Il Consiglio federale vuole d’altronde individuare soluzioni per le relazioni tra la Svizzera e l’UE. Da vari mesi conduciamo colloqui e discussioni, rallentati, la scorsa primavera, dall’attesa del voto britannico. Ora siamo arrivati al punto. Il Consiglio federale sta moltiplicando gli sforzi per giungere a una soluzione concertata con l’UE entro la fine dell’anno. È questo infatti il solo modo per garantire a breve termine la certezza del diritto, necessaria alle imprese e in grado di creare un clima favorevole agli investimenti, e dunque anche alla creazione di posti di lavoro, in Svizzera come nell’UE e, in particolare, nei Paesi che sono i nostri vicini immediati.

Anche in questo contesto, la Svizzera e l’UE hanno tutto l’interesse a far sì che l’ordine internazionale sia negoziato e organizzato in un quadro chiaro e prevedibile. Né la Svizzera né l’UE hanno da guadagnare da puri rapporti di forza.

Data la nuova situazione creatasi con il voto britannico, la ricerca di una soluzione condivisa può rivelarsi ancora più difficile. Ma è opportuno lasciare che la situazione si degradi ulteriormente? Non sarebbe invece più saggio, soprattutto nell’interesse delle popolazioni della Svizzera e dell’UE, risolvere problemi di questo tipo con una piccola dose ulteriore di pragmatismo? Per il Consiglio federale è arrivato il momento – sia per la Svizzera sia per l’UE – di fare un passo avanti e di dare risposte alle domande riguardanti il futuro delle relazioni tra Svizzera e UE; risposte che tengano conto dell’interesse comune delle nostre popolazioni.

Svizzera e UE hanno deciso di intensificare le discussioni tecniche. Il voto britannico non ha interrotto queste discussioni, ma ha anzi contribuito ad accelerarle: fino alla fine dell’anno ci sarà il tempo per raggiungere un accordo. Anche in questo caso il futuro è tutto da costruire. Vogliamo trasformarlo in crisi? Oppure vogliamo lavorare a delle soluzioni?

Stiamo conducendo in parallelo i negoziati su un accordo istituzionale che punta a garantire la certezza del diritto e un quadro giuridico chiaro e prevedibile, stavolta nel lungo periodo. Questo accordo sulla certezza del diritto ha lo scopo di preservare e di sviluppare a lungo termine la via bilaterale, affinché anche i nostri figli e i nostri nipoti possano trarne beneficio.

L’accordo non è stato finalizzato. Oggi, in Svizzera, non troverebbe una maggioranza pronta ad accoglierlo. Il suo contenuto, tuttavia, è valido e potrebbe ottenere la maggioranza in futuro. Ci consentirà infatti di accedere al mercato europeo, anche in nuovi settori, evitando così la discriminazione dei nostri attori economici.

Ripresa dinamica ma non automatica del diritto, partecipazione all’elaborazione delle norme, vigilanza della Svizzera sul suo territorio e, alla fine del processo, decisioni prese da un comitato misto e non da una Corte di giustizia: la Svizzera ha già negoziato e delineato i tratti essenziali di una soluzione che preserva la sua sovranità e dà una prospettiva alla via bilaterale. Restano aperte alcune questioni. L’accordo, una volta finalizzato e a condizione che sia in linea con gli obiettivi del Consiglio federale, sarà trasmesso al Parlamento e in seguito sottoposto a referendum.

Sul piano giuridico il Consiglio federale non intende legare questo accordo a una soluzione sulla libera circolazione, che, in ogni caso, deve essere disciplinata per prima, dato che le tempistiche di approvazione sono molto diverse tra loro. Oggi, non sarebbe però possibile discutere sulla libera circolazione con l’UE se, in parallelo, non si portassero avanti i negoziati sull’accordo istituzionale.

Eccoci arrivati al punto. Siamo nel bel mezzo di negoziati difficili, ma io resto ottimista! In politica, ci vuole forza di volontà, bisogna credere nei progetti validi e mantenere la rotta. Questo non significa essere ingenui, ma determinati, significa credere che è possibile costruire il futuro e lavorare duramente per questo. Non so se raggiungeremo un accordo con l’UE in tutti i settori. Tuttavia – e sono certo che tu, caro Paolo, sei d’accordo con me – so che è possibile.

È possibile se c’è la volontà da entrambe le parti, se dimostriamo di avere una volontà politica sufficiente e se lavoriamo con convinzione, creatività e con una certa dose di pragmatismo.

Signor Ministro, caro Paolo,
gentili Signore e Signori,

questo primo asse della nostra strategia non si ferma solo ai rapporti tra la Svizzera e l’Unione europea, ma riguarda anche i rapporti con i singoli Stati membri. In primo luogo con i nostri Paesi vicini. L’Italia è uno di questi importanti vicini, il nostro terzo partner commerciale e il Paese con cui condividiamo la frontiera più lunga, che corre lungo alcune tra le vette più belle e più alte delle Alpi: come dimenticare che la montagna simbolo del nostro Paese, il Cervino, è di fatto una «comproprietà» Svizzera-Italia? Con l’Italia condividiamo una lingua, l’italiano, che contribuisce alla nostra ricchezza culturale e linguistica, parte integrante dell’identità della Svizzera e motivo di orgoglio. Più di 300 000 cittadine e cittadini italiani risiedono in Svizzera. L’Italia è un Paese a cui vogliamo avvicinarci ancora di più. In questo senso, con l’inaugurazione della galleria di base del San Gottardo abbiamo fatto passi da gigante. Spostiamo le montagne per migliorare le nostre relazioni! E se siamo riusciti a farlo, è anche grazie al contributo decisivo del lavoro e delle competenze degli italiani.

Signor Ministro, caro Paolo, la qualità professionale e il carattere amichevole delle nostre relazioni è per me motivo di grande soddisfazione. Dobbiamo risolvere alcuni problemi di vicinato, ma è normale tra vicini. Stiamo facendo progressi nel campo della sicurezza e in quello fiscale e intendiamo continuare a lavorare insieme nel quadro europeo: sul tema delle relazioni Svizzera-UE – e ringrazio te, in questa sede, del sostegno convinto dell’Italia –, sul dossier della migrazione a livello europeo e mondiale o ancora sulle questioni di sicurezza internazionale, in particolare in seno all’OSCE, che l’Italia presiederà nel 2018. La tua presenza, oggi, sottolinea la qualità e l’importanza di queste relazioni e di questo ti ringrazio.

3. La Svizzera e il mondo multilaterale

Nella sua strategia di politica estera, il Consiglio federale attribuisce grande importanza alla promozione di un multilateralismo efficace, in particolare nel campo della pace e della sicurezza. La comunità internazionale ha negoziato con successo nuovi e importanti accordi di cooperazione (Agenda 2030, Accordo di Parigi sul clima). Ma, per quanto riguarda la gestione e la prevenzione dei conflitti, come pure la ricerca di soluzioni comuni ai problemi di sicurezza, il quadro è molto meno positivo.

Di fronte alle grandi crisi, come quelle che attraversano l’Ucraina e la Siria, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite spesso non è in grado di definire posizioni comuni.

Da diverse settimane, assistiamo a un’escalation della violenza e a un deterioramento della situazione umanitaria in Siria, in particolare ad Aleppo.

Nei giorni scorsi la tragedia ha avuto il viso di questo ragazzino, Omran: la sua vicenda ha sconvolto tutti.

La Svizzera rivolge un appello alle parti in conflitto affinché ripristinino il regime di cessate il fuoco, garantiscano agli operatori umanitari un accesso rapido e senza ostacoli e rispettino rigorosamente il diritto umanitario internazionale.

La lotta per il potere a spese di tanti bambini, donne e uomini innocenti deve finire una volta per tutte. La Svizzera sostiene il lavoro dell’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, promuove il dialogo tra le parti in conflitto e contribuisce ad alleviare le sofferenze della popolazione civile mediante gli aiuti umanitari e la fornitura di ambulanze sul posto, come quella che ha trasportato il piccolo Omran.

È tuttavia essenziale che le parti in conflitto e gli attori regionali e internazionali si mostrino chiaramente disposti a compiere progressi concreti a livello politico, al fine di trovare una soluzione durevole al conflitto armato in Siria.

Anche a livello regionale vi è un’evidente difficoltà a individuare soluzioni multilaterali. Alcuni Stati tendono a considerare l’OSCE più come un’arena per sostenere le proprie posizioni che come un’organizzazione impegnata nella ricerca di soluzioni reali.

Questa assenza di progressi non riguarda solo il conflitto siriano, ma anche altre questioni legate alla sicurezza: lo scorso anno, la Conferenza delle Parti incaricate di esaminare il Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari non ha prodotto i risultati richiesti.

Questi sviluppi sono fonte di preoccupazione. La crisi del multilateralismo non è solo congiunturale. Per alcuni, le sue radici sono più profonde.

In un mondo multipolare, trovare soluzioni multilaterali costituisce di per sé una sfida. La rinascita della geopolitica e della politica di potenza, il ritorno dei rapporti di potere tra gli Stati, il mancato rispetto delle regole stabilite e del diritto internazionale, il risveglio dell’autoritarismo: tutto questo indebolisce il multilateralismo e destabilizza l’ordine mondiale.

Pertanto vorrei condividere con voi tre convinzioni:

1. Non esiste, in questo mondo multipolare, un’alternativa alle soluzioni multilaterali per affrontare le sfide che ci riguardano tutti.

2. La sicurezza, la prosperità e l’indipendenza della Svizzera dipendono ampiamente dal buon funzionamento di un ordine internazionale equo e governato da regole.

3. La Svizzera ha buone carte in mano per contribuire in modo costruttivo al rafforzamento del multilateralismo. In questo ambito può e deve dare il suo contributo alla costruzione del futuro: è infatti questa una delle ragioni d’essere della sua diplomazia. Sono convinto che, più il sistema multilaterale farà fatica a trovare maggioranze, più il mondo si (multi)polarizzerà, aumenteranno le crisi e il profilo di Paesi come la Svizzera diventerà ricercato e svolgerà un ruolo importante. Neutralità e indipendenza, niente secondi fini, impegno, pragmatismo, discrezione e affidabilità: il nostro Paese ha tutte le carte vincenti per poter apportare un contributo specifico. E farlo è nel suo interesse e nelle sue responsabilità.

Quale dev’essere il contributo della Svizzera a un futuro multilaterale? Ecco cinque spunti di riflessione in merito.

1. Anzitutto, come ho detto, la Svizzera ha un profilo unico in politica estera. La sua vocazione è promuovere il dialogo e il consenso. Non prendiamo le parti di nessuno, e proprio per questo siamo in grado di gettare ponti e cercare di conciliare punti di vista divergenti.

Durante la sua presidenza dell’OSCE, la Svizzera ha invitato i ministri degli esteri dei Paesi partecipanti a un incontro informale sull’Ucraina tenutosi a Basilea, a una discussione intorno a una fonduta a Davos e a un «side-event» (giusto per non farci mancare un anglicismo) dedicato alla sicurezza europea a margine della 69aAssemblea generale delle Nazioni Unite a New York.

In quest’ottica, accolgo con soddisfazione l’iniziativa della presidenza tedesca dell’OSCE di ospitare un incontro ministeriale informale a Potsdam, il 1° settembre prossimo. Rivolgo inoltre all’Italia le mie congratulazioni per la sua elezione alla presidenza dell’OSCE nel 2018. Ti incoraggio vivamente, caro Paolo, a portare avanti questo tipo di scambi, intensi e informali, tra i ministri.

2. In secondo luogo dobbiamo sviluppare buone idee per rafforzare la capacità d’azione delle organizzazioni internazionali. La Svizzera è la punta di diamante dell’innovazione nel mondo: deve esserlo anche nella politica estera. Un esempio è l’appello del 13 giugno, mediante il quale vogliamo consolidare la prevenzione dei conflitti attraverso un rispetto più rigoroso dei diritti umani e rinsaldare i legami tra il Consiglio dei diritti umani e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

3. In terzo luogo la Svizzera deve agire in modo pragmatico, restando però fedele ai suoi principi. Siamo a favore di formati multilaterali inclusivi, ma siamo anche consapevoli che le discussioni in piccoli gruppi e il dialogo tra grandi potenze possono essere strumenti utili per individuare possibili soluzioni. Penso, a questo proposito, al gruppo di monitoraggio sulla Siria o sulla Libia o all’iniziativa di Parigi volta a rilanciare i colloqui di pace in Medio Oriente. Penso anche al «formato Normandia» elaborato per rispondere alla crisi ucraina. È comunque importante che iniziative di questo tipo puntino a completare e sostenere il lavoro di organizzazioni quali l’ONU o l’OSCE e non a sostituirsi a esse.

4. In quarto luogo la Svizzera non intende solo rafforzare la capacità d’intervento dell’ONU e dell’OSCE, ma anche sostenere le organizzazioni regionali di cui non è membro.

Ci stiamo mobilitando affinché si sviluppino strutture di cooperazione regionale e di sicurezza cooperativa, per esempio in Asia orientale e nel Vicino e Medio Oriente. Ci sforziamo di promuovere il dialogo e la cooperazione tra le parti interessate in queste regioni.

5. In quinto luogo il Consiglio federale intende rafforzare la Ginevra internazionale, crocevia di competenze e opportunità. In particolare vogliamo sottolineare il ruolo di Ginevra quale centro mondiale della pace e della sicurezza. Per fare questo, bisogna modernizzare le sue infrastrutture, a cominciare dal Palazzo delle Nazioni, per la cui ristrutturazione la Svizzera concederà un prestito di 400 milioni di franchi (il dossier sta entrando nell’ultima fase delle consultazioni parlamentari). Ma bisogna fare di più: consolidare le istituzioni con sede a Ginevra e le loro sinergie.

È, questo, un altro pilastro della strategia di Stato ospite elaborata dalla Confederazione con la Città e il Cantone di Ginevra, che, con l’occasione, ringrazio della qualità della cooperazione. Sono soddisfatto anche dell’eccellente collaborazione con l’ONU e le organizzazioni internazionali.

Alludo, in particolare, al direttore dell’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, Michael Møller, che ringrazio per il suo lavoro, la sua instancabile dedizione e l’accoglienza calorosa.

Signore e Signori,

forte del suo impegno a favore di un multilateralismo efficace, la Svizzera apre una nuova fase con la sua candidatura al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Rinnovo le mie congratulazioni all’Italia per la sua recente elezione in seno a quest’organo. La formula prescelta, ovvero di un seggio condiviso con un altro Stato membro dell’UE, è una soluzione creativa che ha permesso di sbloccare la situazione di stallo all’interno dell’Assemblea generale. Si tratta di una decisione sensata e responsabile. La Svizzera ringrazia l’Italia e i Paesi Bassi, augura loro ogni successo nell’adempimento del loro mandato e spera in una collaborazione proficua a New York.

Dal canto suo, la Svizzera si candida per la prima volta nella sua storia a un seggio nel Consiglio di sicurezza per il periodo 2023-2024. Da anni conduce una campagna a modo suo. Questa candidatura costituirà una priorità della nostra politica estera negli anni a venire. Ringrazio sin d’ora tutte e tutti coloro che s’impegneranno in questo progetto.

Quali sono le ragioni di questa candidatura? La candidatura non rappresenta un obiettivo fine a se stesso, ma è un mezzo al servizio di un obiettivo. L’obiettivo è contribuire a rafforzare la sicurezza e la pace, a prevenire le crisi, a riformare il sistema delle Nazioni Unite per renderlo più forte, più equo e più efficace. L’obiettivo è costruire il futuro, insieme. Dobbiamo perciò armarci di umiltà e pazienza, virtù elvetiche, perché non sarà possibile raggiungere tutti questi obiettivi.

O meglio: alcuni obiettivi potranno essere raggiunti solo a lungo termine. Serviranno quindi determinazione, creatività, impegno, pragmatismo, fermezza. Tutte qualità che abbiamo. E ne varrà la pena, perché ogni progresso, anche di modesta entità, è utile. Servirà perciò pure un pizzico di giusta ambizione, quella della responsabilità.

Questa campagna non punta a rimettere del tutto in discussione il ruolo della Svizzera presso le Nazioni Unite. La Svizzera resterà fedele agli impegni presi, che coprono un ampio spettro di aree di intervento dell’ONU, rafforzando alcune linee d’azione e definendo priorità e iniziative politiche. Nei prossimi mesi, intensificheremo i lavori, al DFAE e in collaborazione con gli altri dipartimenti, per individuare, definire e chiarire le priorità del nostro programma di lavoro nel contesto di questa candidatura. Mi auguro che, in questo processo, confluiscano tutte le forze e le buone idee presenti nel Dipartimento e al di fuori di esso, a cominciare dalle riflessioni e dalla creatività dei giovani.

Ringrazio tutte e tutti coloro che contribuiranno e s’impegneranno in questo processo a lungo termine.

Nel 2014, parlando davanti all’Assemblea generale, ho chiesto al rappresentante della gioventù svizzera che mi ha accompagnato a New York di confidarmi il suo sogno per il mondo. Vorrei concludere con le sue parole: «Un mondo in cui le persone possano risolvere i loro problemi pacificamente, senza violenza; un mondo di libertà e di rispetto reciproco; un mondo in cui tutti i giovani abbiano la prospettiva di un lavoro che consenta di vivere una vita felice».

Questa visione, profondamente svizzera, mi sembra giusta. Proviene da un giovane, ma è in linea con i nostri valori tradizionali. Spero che sarà fonte di ispirazione per il nostro lavoro: costruire insieme questa candidatura e, insieme, costruire il futuro.

Vi ringrazio della vostra motivazione e del vostro impegno per il nostro Paese nel mondo.


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Ultima modifica 29.01.2022

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