Articolo, 29.11.2016

Didier Burkhalter partecipa al dibattito «Fuga e persecuzione: sfide globali del 21° secolo?», che si terrà all’Università di Zurigo nell’ambito della mostra «FUGGIRE», esposta al Museo nazionale. Nell’intervista il consigliere federale ci illustra gli aspetti della politica estera della Svizzera legati alla migrazione.

 

Il consigliere federale Didier Burkhalter durante la sua visita al campo profughi di Azraq in Giordania, nel 2015.
Il consigliere federale Didier Burkhalter si batte affinché la Svizzera non allenti il suo impegno a favore delle persone in fuga. La fotografia lo ritrae nel campo profughi di Azraq in Giordania. © DFAE

Lei interverrà a una manifestazione nel quadro della mostra «FUGGIRE». Quali aspetti riguardanti questo tema può trasmettere ai visitatori una mostra di questo tipo?

La mostra permette di capire che cosa significhi essere un uomo o una donna in fuga. Certo, conosciamo le statistiche: oggi sono 65 milioni le persone in fuga, dalla Seconda guerra mondiale non ce n’erano più state così tante. Ma le cifre sono astratte. Riusciamo veramente a immaginarci che cosa vuol dire quando uomini, donne e bambini hanno paura, sono in pericolo di vita e non sanno che cosa ne sarà del proprio futuro? La mostra «FUGGIRE» aumenta la consapevolezza dei visitatori su questo tema e fa capire loro perché la Svizzera si impegna da tempo a favore delle persone in fuga.

Nell’ottobre 2015 ha visitato il campo profughi di Azraq in Giordania. Quali impressioni Le ha lasciato questa visita?

Nel campo profughi ho parlato con molti giovani. Questi incontri, durante i quali le persone raccontano le esperienze vissute in guerra e parlano delle loro speranze e necessità, restano impressi nel mio cuore. Ricordo in particolare gli incontri con le giovani famiglie costrette a fuggire. I colloqui che ho avuto ad Azraq, ma anche in Libano o in Tunisia, rafforzano la mia convinzione che le cause della fuga vanno combattute direttamente. Solo così sarà possibile risolvere la crisi dei profughi in modo duraturo: ecco perché in numerosi Paesi la Svizzera sostiene progetti che permettono di migliorare l’istruzione, creare posti di lavoro, potenziare l’approvvigionamento idrico e i servizi sanitari o rinnovare scuole. Questi progetti creano prospettive, fiducia e speranza.

Secondo Lei, quali misure sono prioritarie per far fronte alla problematica delle migrazioni? Quali ambiti richiedono un maggiore impegno da parte della comunità internazionale e della Svizzera?

La prevenzione è di fondamentale importanza: se ci si impegna tempestivamente a fare in modo che le persone possano risolvere insieme questioni aperte, ci saranno meno conflitti che potrebbero aumentare la pressione migratoria. In secondo luogo, le persone in fuga devono essere protette e sostenute, a seconda della situazione attraverso un aiuto d’emergenza concreto, ma anche impedendo che i profughi vengano utilizzati come scudi umani.

In terzo luogo sono prioritari i Paesi e le loro popolazioni coraggiose che accolgono i profughi. Occorre rafforzarli affinché possano far fronte a questo carico supplementare senza che sorgano nuove difficoltà. Ecco perché, dall’inizio del conflitto in Siria, la Svizzera ha stanziato oltre 250 milioni CHF a favore della popolazione siriana, ma anche delle persone dei Paesi limitrofi che insieme hanno accolto oltre quattro milioni di profughi.

In che modo l’aspetto della fuga è presente nella politica di pace della Svizzera?

È presente poiché è radicato nella Costituzione federale e nei valori svizzeri di responsabilità e solidarietà, che realizziamo anche nella nostra politica estera. La Costituzione sancisce tra l’altro l’impegno nella lotta contro la povertà nel mondo, a favore delle popolazioni in stato di bisogno, del rispetto dei diritti umani e della promozione della democrazia. Questi temi riguardano direttamente le persone in fuga e, di conseguenza, anche il nostro impegno.

In che misura può intervenire la Svizzera per contribuire attivamente alla riduzione della pressione migratoria?

La cosa più importante è non allentare l’impegno, bensì adeguarlo alle esigenze. In Siria, ad esempio, la situazione per le persone continua a essere disastrosa. Per tale motivo la Svizzera sta intensificando le sue attività nella regione: per il 2017 gli investimenti a favore dell’aiuto umanitario e del rafforzamento della resilienza aumenteranno, passando da 50 a 66 milioni CHF. La Svizzera sta valutando inoltre la possibilità di aprire un ufficio umanitario a Damasco per consolidare il settore dei negoziati, ad esempio quelli relativi all’accesso degli operatori umanitari e alla loro sicurezza.

La Svizzera potenzierà il suo impegno anche in Giordania e in Libano. Il Consiglio federale sta anche esaminando un’eventuale ripresa della cooperazione allo sviluppo in Eritrea volta a lanciare nella regione progetti pilota nell’ambito dei posti di lavoro e della formazione professionale.

Oltre a impegnarsi direttamente sul posto occorre però anche cooperare a livello internazionale. La problematica dei profughi e delle migrazioni può essere risolta infatti soltanto se gli Stati elaborano soluzioni congiunte. Per questo motivo, nel quadro del conflitto siriano la Svizzera sostiene l’inviato speciale dell’ONU mettendo a disposizione le proprie competenze. In collaborazione con il Messico, facilita inoltre il processo di negoziazione per un programma d’azione dell’ONU che mira a colmare le lacune esistenti in ambito migratorio.

Ogni persona che può essere aiutata grazie a questi sforzi rappresenta un successo e costituisce per la Svizzera un invito a continuare a impegnarci per le persone in fuga.

«Es geht um die Welt und die Menschen»: Beiträge der Schweizer Aussenpolitik zur Bewältigung der Flüchtlingskrise, discorso del consigliere federale Didier Burkhalter, 29.11.2016  (de)

Ultima modifica 19.07.2023

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