Laura Reymond-Joubin: «La pace non è solo assenza di conflitti, ma la creazione di una società stabile e capace di guardare al futuro»

La parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC) è l’epicentro della crisi di sicurezza nella regione dei Grandi Laghi, e dalla fine del 2021 ha visto il riemergere del gruppo armato Movimento del 23 marzo (M23). Questa complessa situazione persiste da oltre 20 anni e colpisce duramente la popolazione. Ne parliamo con Laura Reymond-Joubin, che per tre anni ha lavorato all’Ambasciata di Svizzera nella RDC come consigliera per la sicurezza umana.

Foto di Laura Reymond-Joubin

Laura Reymond-Joubin è rientrata dalla RDC nell’estate del 2025 dopo un impiego di tre anni sul posto. © DFAE

La regione dei Grandi Laghi è una delle più densamente popolate dell’Africa. Le popolazioni della RDC, del Ruanda, del Burundi, dell’Uganda e della Tanzania sono strettamente legate tra loro attraverso la lingua, la cultura, il commercio e i rapporti familiari. Ma le rivalità per la terra, il potere e le risorse creano forti tensioni. Queste tensioni affondano le loro radici in un passato coloniale, di guerre civili, instabilità politica, malgoverno e scontri interetnici che hanno lacerato tessuto socio-politico e provocato atti di violenza responsabili di milioni di vittime tra la popolazione civile.

Nel 2025, più di 21 milioni di persone dipendevano dagli aiuti umanitari. La prevenzione e la risoluzione dei conflitti, così come il mantenimento di una pace duratura, sono al centro dell’impegno della Svizzera per la pace e i diritti umani nella regione.

Laura Reymond-Joubin, può descriverci il lavoro che ha svolto per la Svizzera come consigliera per la sicurezza umana nella RDC?

Il mio compito era promuovere le competenze svizzere in materia di mediazione, prevenzione e riduzione dei conflitti. Nella parte orientale della RDC, in un contesto caratterizzato dalla presenza di numerosi gruppi armati che minacciano la sicurezza e i diritti umani, il mio ruolo principale è stato quello di mettere queste competenze a disposizione degli attori coinvolti nei processi di pace. Ossia di rafforzare le capacità dei responsabili politici e delle organizzazioni locali di condurre processi di pace sostenibili e inclusivi. Ho per esempio contribuito ad avvicinare i facilitatori dei processi di pace e le organizzazioni locali per incentivare la smobilitazione dei gruppi armati. La Svizzera è stata anche in grado di fornire una formazione alla mediazione all’Angola mentre quest’ultima facilitava il dialogo tra la RDC e il Ruanda.

Laura Reymond-Joubin seduta su un divano a tre posti mentre parla parla con il governatore militare della provincia dell’Ituri, seduto su una poltrona alla sua sinistrra.
Laura Reymond-Joubin con il governatore militare della provincia dell’Ituri (RDC orientale). © DFAE

Come lavora quotidianamente sul campo?

Il mio lavoro implica un’analisi approfondita delle cause e degli attori dei conflitti, ma anche dei possibili costruttori e costruttrici di pace, per capire in che modo la Svizzera può contribuire alla prevenzione e alla riduzione della violenza e allo sviluppo di processi di dialogo che portino a una pace duratura. Ciò significa incontrare quotidianamente persone molto diverse, tra cui membri del governo, delle organizzazioni locali e internazionali e delle comunità locali, ma anche membri del corpo diplomatico, rappresentanti dei media e militari. Nella RDC questo mi ha portato a viaggiare spesso nelle regioni orientali, in particolare nelle province dell’Ituri e del Kivu Nord e Sud. Le realtà della capitale Kinshasa e dell’Est del Congo, distante più di 2000 chilometri, sono molto diverse. Tra i momenti salienti ricordo la visita dell’ex consigliere federale Alain Berset, all’epoca presidente della Confederazione, che ho accompagnato nel suo viaggio nella RDC nell’aprile del 2023, e la partecipazione alla missione di osservazione delle elezioni presidenziali congolesi nel dicembre del 2023.

Tutto ciò implica la capacità di coltivare continuamente i contatti creando un clima di fiducia...

È vero, per me è importante ascoltare tutti, che si tratti di responsabili politici o di persone direttamente colpite dal conflitto oppure di chi ha deciso di imbracciare le armi, per capire la loro realtà quotidiana. Poi, quando interagivo con il Governo, era essenziale per me far comprendere che ero lì per fornire un sostegno in base alle loro esigenze e priorità. La competenza e la reputazione della Svizzera spesso facilitano le cose. Siamo partner che coltivano non solo la fiducia, ma anche la discrezione. Siamo percepiti come sinceri e trasparenti.

Il mandato di consigliere per la sicurezza umana di solito dura un anno, rinnovabile. Si tratta di un tempo sufficiente per avere un impatto reale sul territorio?

Personalmente ho lavorato in Congo per tre anni. Il contesto è molto complesso e bisogna disporre del tempo sufficiente per costruire relazioni di fiducia e svolgere un lavoro significativo.

Foto di gruppo con Laura Reymond-Joubin, al centro, accanto al governatore militare della provincia dell’Ituri.
Laura Reymond-Joubin insieme al governatore militare della provincia dell’Ituri davanti al suo ufficio. © DFAE

La violenza contro le donne e le ragazze è particolarmente elevata nella regione dei Grandi Laghi. Fin dall’inizio, con il suo programma di cooperazione nella regione la Svizzera si è impegnata anche e soprattutto per il rafforzamento della partecipazione attiva delle donne alla prevenzione dei conflitti, ai processi di pace e alla riconciliazione. Come valuta i risultati della Sua missione da questo punto di vista?

Le donne e le ragazze sono le prime vittime dei conflitti, ma sono anche le prime ad attivarsi per contribuire alla pace. Ho incontrato molte donne che si rivolgono direttamente ai leader dei gruppi armati per chiedere la protezione della popolazione civile. Nell’Ituri, per esempio, l’organizzazione Femmes en Action pour le Développement Multisectoriel (FADEM) ha creato spazi di fiducia e di dialogo in cui membri di gruppi armati rivali e rappresentanti della popolazione locale possono parlarsi. Ciò ha contribuito a ridurre gli scontri, a liberare ostaggi e a facilitare l’accesso agli aiuti umanitari. Grazie ai miei contatti a livello diplomatico e presso i responsabili politici, sono riuscita a dare più visibilità a queste donne e al loro operato. Per esempio, ho facilitato un incontro tra 40 donne della RDC e di altri Paesi della regione e il presidente dell’Angola nel quadro della sua mediazione tra la RDC e il Ruanda. Questo genere di contatti è importante e consente a chi deve prendere le decisioni di comprendere meglio la realtà della popolazione e di tenere conto delle preoccupazioni di quest’ultima nei processi di pace.

La missione di un consigliere o una consigliera per la sicurezza umana in zone di conflitto è innanzitutto quella di promuovere il dialogo tra i vari attori chiave sul campo. In questo senso, ogni dialogo è un dialogo per i diritti umani. È d’accordo con questa affermazione?

Il mio compito era proprio quello di rafforzare un approccio detto di «sicurezza umana». Mettere le persone al centro significa anche affrontare la questione dei loro diritti. L’assenza di uno Stato di diritto è un terreno fertile per la violenza. Nell’ambito del programma di promozione della pace, sosteniamo il lavoro di Trial, un’organizzazione che assiste le vittime di violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale e forma magistrati in grado di giudicare i crimini di guerra. Assicurare alla giustizia chi ha commesso questi crimini aiuta a prevenire nuovi scoppi di violenza, alimentati da sentimenti di vendetta, e quindi a proteggere i diritti umani.

Le consigliere e i consiglieri per la sicurezza umana impiegati dalla Svizzera nella regione possono contare sul fatto che il nostro Paese viene percepito come un partner affidabile, neutrale e indipendente, noto per la sua presenza sul campo, il suo pragmatismo e la sua flessibilità. Anche Lei lo ha sperimentato nel Suo lavoro?

L’obiettivo della Confederazione è sempre stato quello di trovare soluzioni africane ai problemi africani. Il fatto di essere persone straniere, provenienti dal mondo occidentale, può talvolta suscitare diffidenza, far pensare che la nostra analisi della situazione sia parziale o che le nostre azioni siano dettate da un’agenda nascosta. Ma d’altra parte, avere la cittadinanza svizzera offre l’opportunità di fare numerosi incontri altrimenti impossibili. La neutralità della Svizzera implica una certa trasparenza e l’assenza di agende nascoste. Questo ci mette in una posizione di vantaggio, che però va coltivata.

Foto di gruppo con Laura Reymond-Joubin, al centro, in prima fila, accanto a rappresentanti della forza regionale della Comunità dell’Africa orientale (EAC-RF).
Laura Reymond-Joubin in compagnia di membri della forza regionale della Comunità dell’Africa orientale (EAC-RF). © DFAE

La presenza dell’ONU nella regione dei Grandi Laghi rimane significativa. La MONUSCO, a cui la Svizzera contribuisce con personale civile, militare e di polizia, è la più grande operazione di mantenimento della pace del mondo, ma il suo mandato viene criticato. Ritiene che il ruolo delle forze di pace sia poco compreso?

La MONUSCO è presente da molto tempo, ma il suo mandato è effettivamente ancora poco compreso. Nonostante la presenza sul terreno da oltre 20 anni, il conflitto continua e la missione non soddisfa pienamente le aspettative della popolazione civile in termini di protezione. Ma il suo compito è svolgere un ruolo complementare a quello dello Stato, supportarlo, non sostituirlo. Nell’Ituri, per esempio, le persone con cui ho parlato mi hanno detto spesso che la MONUSCO ha permesso di ridurre la violenza e di dare visibilità agli abusi commessi. Da quando la MONUSCO si è ritirata dal Kivu Sud su richiesta del Governo, è diventato molto difficile accedere alle aree isolate, dove le persone sono più vulnerabili, e quindi venire a conoscenza di eventuali violazioni.

Lei era presente quando il conflitto al confine con il Ruanda si è intensificato nel gennaio del 2025. Dal punto di vista di una consigliera per la sicurezza umana responsabile del mantenimento della pace lo scoppio di una nuova crisi è un fallimento?

Ero a Goma due giorni prima che l’M23 entrasse in città. Il conflitto durava già da tre anni e la situazione era già grave, ma non mi aspettavo che si deteriorasse così drasticamente. Quando si lavora per promuovere la pace, bisogna essere pronti ad affrontare numerosi ostacoli e battute d’arresto. Molti degli sforzi compiuti in precedenza sono stati inevitabilmente vanificati dagli eventi di gennaio, e penso in particolare ai criminali di guerra evasi dalle prigioni. Ma alcuni risultati restano. In particolare, sono rimasta colpita dalla resilienza delle comunità locali in cui operano i nostri partner. Il loro lavoro di creazione di spazi di dialogo ha contribuito a mantenere una certa coesione sociale, nonostante le tensioni e l’aumento dei discorsi di odio. Si può dire, dunque, che gli sforzi fatti non siano mai del tutto vani.

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