
Qual è, a suo avviso, il risultato più importante della Conferenza sul clima che quest’anno si è svolta a Parigi?
Il risultato più importante è il chiaro impegno della comunità internazionale a cooperare al fine di fronteggiare i cambiamenti climatici provocati dall’uomo e le sue conseguenze. Il diritto allo sviluppo è stato vincolato all’obbligo di salvaguardare le basi naturali della vita. Il riscaldamento globale dovrà essere limitato a 1,5-2 gradi attraverso azioni collettive sempre più rigorose e la cooperazione internazionale. Dal momento che la temperatura media è già salita di un grado tutti i Paesi si sono impegnati anche a promuovere misure nazionali di adattamento.
Quali conseguenze avrà l’esito della Conferenza sul clima sulla cooperazione allo sviluppo della DSC?
Alla fase del confronto, a Parigi, sulla forma giuridica, sui principi e sulle scelte lessicali per la formulazione dell’accordo (shall? should? will?) ne seguirà ora una di attuazione nazionale in cui sarà indispensabile rafforzare la cooperazione internazionale. La cooperazione allo sviluppo ha un ruolo fondamentale in questo contesto. Il finanziamento dei provvedimenti climatici nei Paesi in via di sviluppo è computato da tutti gli Stati OCSE nel calcolo dell’aiuto pubblico allo sviluppo. Questi fondi e queste misure stimoleranno la mobilitazione di ulteriori flussi finanziari privati, di cui si terrà anche conto nel computo totale. Il Programma globale Cambiamento climatico (PGCC) svolge un ruolo guida in questo ambito tematico e finanzia anche i contribuiti della Svizzera al Fondo verde per il clima e al Fondo di adattamento.
Ha percepito consenso sul fatto che i cambiamenti climatici costituiscono una sfida internazionale?
Questo consenso esiste ormai da tempo e a Parigi l’abbiamo chiaramente percepito. La prova più evidente è sicuramente il grado di impegno internazionale. A Parigi 187 Paesi, responsabili insieme di più del 90 per cento delle emissioni mondiali, hanno presentato un proprio piano per mostrare come intendono ridurre le loro emissioni entro il 2030 e come rafforzare le relative misure di adattamento.
In quali ambiti vi siete imbattuti in ostacoli e nodi cruciali?
Sostanzialmente in ogni ambito di negoziazione. Non si deve dimenticare che il gruppo del G-77 è composto da 130 Stati con interessi, sotto certi aspetti, estremamente contrastanti in materia di cambiamento climatico. Penso a quei piccoli Stati insulari che rischiano di scomparire, agli Stati esportatori di petrolio e ai grandi Paesi emergenti come Cina, India e Brasile. Le differenze tra i Paesi e la conseguente attribuzione delle responsabilità hanno rappresentato il problema maggiore. L’interpretazione di alcune formulazioni poco chiare dell’accordo di Parigi darà adito a ulteriori discussioni nei prossimi anni, finché l’accordo non entrerà in vigore nel 2020. Il primo passo da compiere sarà la firma dell’accordo fino al mese di aprile 2017. Dopodiché gli Stati potranno scegliere tra varie possibilità di adesione.
In che modo l’esito della COP21 influisce sulla cooperazione tra gli Stati nell’ambito dei cambiamenti climatici e delle relative conseguenze?
Tutti gli Stati devono rafforzare la loro cooperazione per poter attuare con successo l’accordo di Parigi. Ci si deve concentrare in primo luogo sulla ricerca, sullo sviluppo di nuove tecnologie e sul trasferimento di tecnologie e know-how, ambito dove la cooperazione internazionale svolge un ruolo importante.
Come possiamo garantire che i risultati della Conferenza vengano realmente adottati? Quale strada sceglie di percorrere la DSC?
Il nuovo accordo contiene un impegno generale a favore dell’attuazione trasparente degli obiettivi dichiarati. Questi dovranno essere regolarmente adeguati nonché resi progressivamente più rigorosi fino ad arrivare alla decarbonizzazione dell’economia mondiale. A tal fine è determinante che le nazioni industrializzate abbiano promesso di continuare a svolgere un ruolo chiave nell’attuazione di politiche e misure pertinenti sotto il profilo del clima.
In linea con il proprio nome, la DSC sceglie la strada della cooperazione. Possiamo attingere al solido lavoro bilaterale e multilaterale che abbiamo già svolto in ambito climatico. La DSC rappresenterà nuovamente la Svizzera in seno al Comitato del Fondo verde per il clima, che beneficia di un finanziamento di 10 miliardi. Continuiamo anche a essere rappresentati negli organi decisionali del Fondo di adattamento e del Fondo mondiale per l’ambiente, che svolgeranno compiti altrettanto importanti. Inoltre intendiamo rafforzare ulteriormente la cooperazione con la SECO e l’UFAM nell’ambito del clima. I mandati dei tre Uffici federali sono complementari in questo ambito.