Più diritti per i lavoratori e le lavoratrici migranti in Medio Oriente
Si sono fatti importanti passi avanti nei Paesi del Medio Oriente per migliorare le condizioni di impiego e di vita dei lavoratori migranti. Le recenti riforme in Qatar, Libano e Giordania a sostegno di politiche rispettose dei diritti umani sono frutto della cooperazione internazionale portata avanti negli anni da governi, organizzazioni internazionali e ONG. Una conferma per la Svizzera dell’efficacia dei progetti e del lavoro di squadra sul posto.
In Libano, la Svizzera è attiva sia a livello politico che operativo. Combina in modo complementare strumenti diplomatici e cooperazione internazionale. © The Daily Star/Hasan Shabaan
Immaginiamo Ayana, una giovane donna etiope che si è recata in Libano alla ricerca di un lavoro. Attraverso un’agenzia, è stata collocata come domestica in una casa dove guadagna 200 dollari al mese, molto al di sotto del salario minimo libanese di 450 dollari. Appena arrivata le sono stati tolti il passaporto e il permesso di soggiorno. Oltre a ritmi di lavoro disumani, non le è permesso di lasciare l’appartamento senza il consenso dei padroni di casa, per non parlare del Paese. Questa breve ricostruzione è un esempio del destino condiviso da circa 250’000 lavoratrici migranti in Libano.
Il sistema kafala
La grande maggioranza dei 272 milioni di migranti internazionali nel mondo sono lavoratori con le loro famiglie, di cui circa la metà sono donne. In questo contesto il Medio Oriente è una delle aree di accoglienza e di transito in più rapida crescita. Le lavoratrici e i lavoratori migranti possono portare una grande spinta allo sviluppo sociale ed economico di questi Paesi e di quelli di origine, ma il quadro istituzionale e giuridico non è spesso sufficiente per tutelare i loro diritti, in particolare delle persone più vulnerabili. La maggior parte infatti, impiegata soprattutto nel settore domestico, sottostà al sistema kafala, un’istituzione molto comune nel mondo arabo nata negli anni 1950.
Il termine «kafala» significa letteralmente «patrocinio»: un lavoratore straniero è legato nel Paese di destinazione a uno «sponsor», solitamente il suo datore di lavoro, che si fa garante del suo permesso di soggiorno. Nato per facilitare l’assunzione dei lavoratori, la scarsa regolamentazione e controllo ha portato a sfruttamento sul lavoro, mancato pagamento degli stipendi e condizioni di vita disumane.
La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) è attiva da anni in vari Paesi per favorire cambiamenti sistemici duraturi nei sistemi statali in vari campi, come la salute, l’istruzione e l’alimentazione. L’introduzione di importanti riforme del «sistema kafala» in Medio Oriente, che tutelano i lavoratori in Paesi come il Qatar, la Giordania e il Libano, sono un esempio dell’efficacia di questo approccio. Approfondiamo l’esempio del Libano grazie alla testimonianza, direttamente da Beirut, dell’ambasciatrice Monika Schmutz Kirgöz.
Cooperazione internazionale e strumenti diplomatici: un’azione complementare
La Svizzera – con il lavoro svolto dall’Ambasciata a Beirut e dal Programma globale Migrazione e sviluppo della DSC – è da tempo attiva in Libano per fornire condizioni di lavoro dignitose ai lavoratori meno qualificati, siano essi migranti, rifugiati o cittadini libanesi. Un impegno a lungo termine iniziato molto prima che la crisi economica e la pandemia inasprissero le terribili condizioni di lavoro e facessero notizia a livello internazionale. «In Libano siamo coinvolti sia a livello politico che operativo, combinando in modo complementare strumenti diplomatici e cooperazione internazionale», spiega l’ambasciatrice Schmutz Kirgöz. Le azioni intraprese dalla Svizzera a favore dell’introduzione di un contratto standardizzato per i lavoratori domestici, attraverso la partnership con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), sono un esempio concreto. L’adozione del contratto si era infatti arenata e bisognava dare un nuovo impulso al cambiamento. «Un punto di forza della Svizzera è riuscire a riunire più partner e coordinare approcci diversi», racconta l’ambasciatrice. «Oltre ad aver incontrato personalmente più volte l’attuale ministro del lavoro e il suo predecessore, ho organizzato un pranzo di lavoro che ha riunito allo stesso tavolo più attori: il ministro del lavoro libanese e l’OIL con gli ambasciatori del Canada, dell’Unione Europea, del Regno Unito, della Svezia, della Norvegia e dei Paesi Bassi. Un’opportunità per sottolineare l’urgenza di adottare il nuovo contratto e per uno scambio di vedute sull’opposizione a queste riforme».
Un’azione concreta, a «porte chiuse», accompagnata poi da un chiaro messaggio pubblico a favore delle riforme, apparso in occasione della Giornata internazionale dei lavoratori domestici su tre dei quattro principali quotidiani libanesi e co-firmato da rappresentanti di più Paesi. E dopo questa serie di azioni congiunte, la buona notizia: il ministro del lavoro uscente ha di recente adottato un contratto standard di lavoro, che prevede la tutela dei diritti, orari di lavoro regolamentati, la protezione dagli incidenti e dalle malattie come anche alloggi dignitosi. «Il contratto avrebbe dovuto entrare in vigore a breve. Purtroppo venerdì scorso abbiamo ricevuto la notizia che le agenzie di reclutamento libanesi hanno ottenuto un rinvio dell'entrata in vigore in tribunale. Contrattempi come questo dimostrano che la perseveranza è necessaria per riforme efficaci. Allo stesso tempo, questa resistenza conferma che il contratto porterà a un reale cambiamento. Non ci scoraggiamo e pianifichiamo i prossimi passi in stretta collaborazione con tutti i partner e con il governo», continua l’ambasciatrice.
La cooperazione con gli attori locali: la chiave del successo
Gli esempi portati dall’ambasciatrice in Libano sottolineano l’importanza della collaborazione con vari partner sul posto – dai governi, alle organizzazioni multilaterali e alla società civile. «La cooperazione con gli attori locali è la chiave del successo. L’approccio della Svizzera consiste nel sostenere i partner locali sul campo nei loro sforzi. Inoltre, questo tipo di cooperazione affina la nostra comprensione della situazione nel Paese e della sua complessità e ci aiuta ad allineare la nostra strategia di conseguenza», spiega.
Nello specifico, per le azioni intraprese per la riforma del sistema kafala, l’ONU è un partner fondamentale. L’OIL, sostenuto finanziariamente dalla Svizzera, ha seguito infatti da vicino l’intero processo di redazione del contratto. Attraverso inoltre la collaborazione con organizzazioni della società civile, la Svizzera sostiene l’applicazione di leggi e regolamenti. «Naturalmente lavoriamo anche direttamente con il Governo. A lungo termine, un cambiamento efficace non è realizzabile se lo Stato non lo sostiene. È quindi importante includere regolarmente tali questioni nel dialogo politico».
L’impulso dei giovani promotori del cambiamento
Non si parla però di abolizione del sistema kafala, ma del suo «smantellamento». «Il sistema kafala – continua l’ambasciatrice – purtroppo non è semplicemente una legge che potrebbe essere abolita. Si tratta di un sistema complesso di leggi, regolamenti e pratiche dal quale alcuni traggono benefici, soprattutto finanziari, come per esempio le agenzie di collocamento. Il potere di queste agenzie è stato chiaramente dimostrato dal rinvio dell'entrata in vigore del contratto menzionato prima». Sono quindi molti i passi ulteriori da intraprendere, anche per garantire ai lavoratori di poter contare sulla giustizia se i loro diritti non venissero rispettati.
Il Libano sta attraversando una delle più grandi crisi della sua storia e, per superarla, i giovani giocano un ruolo importante. «Nessuna strategia per superare il sistema kafala può limitarsi a un adattamento del quadro giuridico. Richiede infatti la volontà di combattere gli stereotipi, i comportamenti e i pregiudizi profondamente radicati che rendono accettabile la discriminazione nei confronti dei lavoratori domestici. Le giovani generazioni stanno mettendo in discussione questa discriminazione e sono alla ricerca di modi alternativi per la custodia dei bambini e l’aiuto domestico – nel pieno rispetto della dignità delle persone», conclude l’ambasciatrice.