Dialogo sui diritti umani con la Cina: gli strumenti della diplomazia svizzera
Il 3 e il 4 luglio si è tenuta in Svizzera la 17a tornata del dialogo sui diritti umani con la Cina. La Svizzera si adopera con determinazione a favore della protezione universale dei diritti umani, sia in Cina che nel resto del mondo. Panoramica dei temi del recente incontro e degli strumenti della diplomazia dei diritti umani svizzera.
Christine Löw, capo supplente della Sezione Pace e diritti umani del DFAE, ha guidato la delegazione svizzera. La delegazione cinese era invece guidata da Yang Xiaokun, rappresentante speciale per i diritti umani presso il Ministero degli affari esteri cinese. © DFAE
Si è tenuta a Berna la nuova tornata di dialogo sui diritti umani tra Svizzera e Cina. Con la delegazione cinese, composta da rappresentanti di differenti ministeri, sono state affrontate diverse questioni prioritarie. Tra queste per esempio i diritti civili e politici, i diritti economici, sociali e culturali, i diritti delle minoranze nazionali, etniche, religiose e linguistiche, nonché i diritti delle donne e delle persone LGBTI.
Lo scambio tra esperti e le visite sul campo sono stati parte integrante del recente incontro: una serie di esempi per illustrare l'esperienza della Svizzera nel campo dei diritti umani.
Scambio di esperti
I colloqui svolti nel corso degli anni nell’ambito di questo dialogo hanno permesso di instaurare, a partire dal 2003, uno scambio regolare di esperti sul tema della gestione delle carceri. «Nonostante le grandi differenze politiche e sociali tra Cina e Svizzera, ci sono molti punti di partenza comuni nel campo dell’esecuzione delle pene. Questo incentiva e favorisce gli scambi reciproci», spiega Walter Troxler, responsabile dello scambio di esperti tra Svizzera e Cina in materia di esecuzione delle pene. Lo scambio di esperienze tra i due Paesi ha avuto luogo a intervalli irregolari e alternando la rispettiva sede (Cina o Svizzera). Le delegazioni comprendevano operatrici e operatori del settore dell’esecuzione delle pene nonché rappresentanti dell’amministrazione penitenziaria e dei rispettivi dipartimenti degli esteri.
Oltre a offrire la possibilità di visitare gli istituti penitenziari, lo scambio ha consentito di affrontare temi specifici nell’ambito di workshop mirati. «Si è discusso, per esempio, delle possibilità per preparare le detenute e i detenuti all’uscita dal carcere e per garantire il relativo follow-up, come pure delle disposizioni disciplinari, dell’istruzione, dei congedi, della formazione e dell’occupazione», spiega Walter Troxler. Gli ultimi contatti si sono concentrati su questioni quali l’informazione sui rischi nelle carceri a regime chiuso e semiaperto e l’esecuzione delle pene per le donne e i giovani.
«I nostri interlocutori cinesi mostrano grande interesse per l’organizzazione del sistema di esecuzione delle pene svizzero. Nel corso degli anni abbiamo potuto constatare diversi cambiamenti e miglioramenti nel sistema penitenziario cinese, in parte dovuti agli scambi tra i nostri Paesi», conclude l’esperto.
Visita sul campo
I membri di entrambe le delegazioni si sono recati a Delémont, dove hanno incontrato il mediatore ufficiale per la questione giurassiana Jean-Christophe Geiser, dell’Ufficio federale di giustizia. Perché si è scelto di condividere questo pezzo di storia svizzera con la delegazione cinese? «Il modo in cui è stato gestito in Svizzera un conflitto territoriale con componenti linguistiche, culturali e persino religiose può rappresentare un insegnamento anche sul piano internazionale», spiega Jean-Christophe Geiser.
La questione giurassiana è stata il principale conflitto politico interno della Svizzera dopo la Seconda guerra mondiale. Ci sono poi volute più votazioni popolari per porre fine alla questione giurassiana, con il passaggio di Moutier al Cantone del Giura previsto per il 2026. «A differenza di altri conflitti, questo si è limitato alla secessione di una parte di un Cantone all’interno di uno Stato federale, senza mirare alla secessione di una parte del territorio di uno Stato», continua Geiser. «Comunque, la flessibilità e la reattività delle autorità coinvolte, sia federali che cantonali, hanno impedito che il conflitto degenerasse», conclude l’avvocato.
Strumenti della diplomazia dei diritti umani svizzera
Il dialogo è solo uno degli strumenti della diplomazia dei diritti umani svizzera. Oltre ai colloqui tra Svizzera e Cina, hanno luogo anche iniziative bilaterali relative a singoli casi e incontri ad alto livello. In quest’ottica, un ruolo importante è svolto dall’Ambasciata di Svizzera a Pechino.
L’Ambasciata interviene regolarmente in merito a situazioni specifiche di difensori e avvocati per i diritti umani che sono stati condannati o perseguitati. A ciò si aggiungono le visite sul campo nelle varie regioni della Cina, dove il personale diplomatico svizzero osserva il contesto e interagisce con la società civile.
La Svizzera contribuisce inoltre alla tutela dei diritti umani a livello multilaterale attraverso le sue attività nel Consiglio dei diritti umani e si pronuncia regolarmente sulla situazione dei diritti umani in Cina in seno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, da sola o in coordinamento con gli Stati partner che condividono le stesse posizioni. Dal 2019 le dichiarazioni congiunte si sono sistematicamente concentrate sulla situazione nella regione dello Xinjiang in Cina. La Svizzera ha chiesto la fine della persecuzione degli Uiguri e il rispetto dei loro diritti di minoranza etnica, religiosa e linguistica. Uno degli strumenti utilizzati dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite è l’Esame periodico universale (EPU). La Cina sarà esaminata nel 2024, durante il quale la Svizzera formulerà le sue raccomandazioni.
Il dialogo sui diritti umani con la Cina ha offerto anche l'opportunità di discutere di questioni economiche e dell'impatto delle attività commerciali sui diritti umani. Tra queste, la recente ratifica da parte della Cina di due convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL): la Convenzione del 1930 sul lavoro forzato e la Convenzione del 1947 sull’abolizione del lavoro forzato.
Sulla base del Piano d’azione nazionale «Imprese e diritti umani» 2020–2023, la Svizzera punta a promuovere l’attuazione di misure di dovuta diligenza per individuare e prevenire qualsiasi rischio di violazione dei diritti umani e di lavoro forzato nelle catene di approvvigionamento.